Protesa
fra Cina e Giappone come l’ago di una bilancia, la penisola coreana sta
attraversando una nuova fase di oscillazione. Lo scorso ottobre sono infatti
terminate le operazioni di dispiegamento del sistema missilistico Thaad (Terminal
High Altitude Area Defense System),
concordato fra il presidente americano Donald Trump e il collega sudcoreano
Moon Jae-In nel territorio di Seogju: è questo l’ultimo tassello di un pesante
riarmo militare che gli Stati Uniti hanno avviato da anni nell’area, portando
la Corea del Nord a minacciare rappresaglie sempre più gravi.
Chiunque
metta piede a Seoul, o in qualsiasi altra grande città della Corea del Sud,
finisce così per trovarsi di fronte una situazione del tutto inaspettata:
esponenti di movimenti civili che protestano davanti agli edifici con le
bandiere a stelle e strisce, donne che occupano località destinate a usi
militari, giornali che ipotizzano la caduta del governo ogniqualvolta venga
fatta una concessione alla linea di Washington. Il punto di vista sulla crisi
geopolitica si ribalta inaspettatamente, perché l’aggressore pronto a
polverizzare il mondo attraverso la sua bomba atomica - dipinto con i tratti
macchiettistici del leader nordcoreano Kim Jong-Un - si scopre verosimilmente
un Paese ormai cinto d’assedio e costretto a fare la voce grossa. Non è solo la
carenza d’informazioni a mostrare quanto l’approccio alla Corea appaia spesso
superficiale e stereotipato; più grave ancora, come dimostra il grande sforzo
divulgativo intrapreso in questi anni dall’Asia Institute di Seoul,
è l’inadeguatezza delle lenti culturali con cui l’Europa e l’Occidente
continuano a leggere i fenomeni odierni.
Converrebbe
forse meditare un poco davanti al Taegeuki, la bandiera scelta nel 1897 per
rappresentare il Paese ancora unificato: è un ottimo esercizio di umiltà del
pensiero, nonché una pratica consigliata dai maestri taoisti qualora ci si
incammini sulla via della saggezza. Al centro del campo bianco non è stata
inserita un’immagine dominante, come vorrebbe la tradizione degli Stati con un
forte governo centrale, ma il simbolo delle contrapposte forze cosmiche Yin e
Yang: un cerchio che pare ruotare costantemente su se stesso, alla perenne
ricerca di un equilibrio fra la sua metà blu e la
sua metà rossa. Ai quattro angoli sono stati poi inseriti i
trigrammi del Libro cinese dei Cambiamenti (I Ching), con cui vengono
rappresentati i processi di formazione del cielo (Kun), del fuoco (Yi), dell’acqua
(Kam) e della terra (Kon). E’ una bandiera capace di raccontare perfettamente
la travagliata storia della penisola, costretta a fare i conti con vicini
sempre troppo ingombranti, benché difesa per quasi cinque secoli dalla dinastia
Joseon. Sino a quando non pende troppo da una parte o dall’altra, il Paese può contare
su pace “immacolata”: non a caso il bianco è il colore che tenta di rischiarare
la mente di chi osserva la bandiera. Una forza, però, tende sempre a spingere
la Penisola nel verso opposto dell’altra, finendo per alterare l’equilibrio fra
gli elementi che reggono il mondo. Lunghi periodi senza conflitti non sono
certo mancati nell’antichissima storia della Corea, che vanta oltre 5mila anni
d’ininterrotta civiltà, ma sono stati garantiti quasi
sempre con uno stratagemma simile a quello di un fiore: l’Hibiscus Syriacus. I
suoi petali, delicatamente rosati, fingono infatti di appassire di fronte all’attacco
degli insetti o della ruggine vegetale, per riprendersi il giorno dopo in modo
del tutto inaspettato. Così fa la Corea, avendo sempre preferito ripiegare su
se stessa anziché cimentarsi in sanguinose guerre, meritandosi già nel XVII
secolo l’appellativo di “Regno Eremita”. Il Mugunghwa, come i coreani usano
chiamare il fiore, è perciò considerato l’anima stessa della penisola a cavallo
del 38° parallelo, pronta a richiudersi dietro profumati petali, ma capace ogni
anno di trasformarsi anche in un accogliente tappeto di ibisco siriaco,
soprattutto fra luglio e ottobre.
La
sua filosofia, purtroppo, è in netto contrasto con le esigenze della
globalizzazione e spiega le diverse risposte messe in campo dalla Corea del
Nord e del Sud: la prima, dichiaratamente socialista eppur più tradizionale
nello stile di vita, è convinta di poter fare a meno del mondo, la seconda mira
a sedurlo con la sua potenza economica. In realtà, entrambe le nazioni potrebbe
imboccare una via del tutto nuova, sviluppando semplicemente una consapevolezza
maggiore circa le proprie radici. Oltre a ospitare una delle piazze della medicina
orientale più antiche della Terra, dove fiori, piante e radici di ginsen rosso
hanno fatto per millenni la fortuna della città meridionale di Daegu, la Corea
conserva tracce di una civiltà megalitica le cui ramificazioni si stanno
palesando negli angoli più remoti del globo: dalle foreste del Borneo alle
coste dell’Abkhazia sul Mar Nero, dove gli archeologi continuano a scoprire
allineamenti di dolmen che mappano i misteri del cielo e sono sempre pronti a
rimandare a un centro nevralgico presente sulla Terra. La Corea, appunto, il
territorio detentore del 40% del patrimonio megalitico mondiale, grazie ai
sorprendenti siti UNESCO di Gochang, Hwasun e Ganghwa, nonché uno dei migliori
punti terrestri d’osservazione per lo studio delle stelle. Il peso di questa
grande tradizione, ancora poco studiata e conosciuta, non è bastato a
riconquistarsi l’indipendenza dal giogo giapponese alla fine della Seconda
Guerra Mondiale: la Penisola resta una testa di ponte troppo invitante per
essere lasciata al proprio destino. Soprattutto per una potenza come gli Stati
Uniti, che dal 1945 hanno bisogno di mantenere un piede sul continente asiatico
per tener sotto controllo i due colossi più temuti: Cina e Russia. Come ha ben
dimostrato lo storico e giornalista americano Isidor Feinstein Stone, autore di
una “Storia segreta della Guerra di Corea” tenacemente boicottata negli Stati
Uniti, per comprendere a fondo la divisione della Penisola non bisogna guardare
a nord, bensì a sud: lasciare il filo spinato e le torrette d’avvistamento che
si snodano lungo i 248 chilometri della Zona Demilitarizzata al confine fra le
due Repubbliche, per scendere sino all’isola di Jeju.
Nata
da un’eruzione vulcanica circa 2 milioni di anni fa, ha sviluppato una cultura
antichissima alla quale vengono ricondotte le radici più autentiche della
civiltà coreana. Qui emersero dal sottosuolo - attraversato da un sistema di tunnel lavici Patrimonio
mondiale dell’Unesco - i tre re dai quali discesero i primi abitanti del regno
Tamna; qui si sviluppò il misterioso culto dei Dol Hareubang, le imponenti
statue basaltiche a testa di fungo che da tempi remoti scrutano il mare e sono
oggi il simbolo di Jeju; qui ancora approdò nel 1653 il primo europeo che fece
conoscere la Corea in Occidente, il commerciante olandese Hendrik Hamel; da qui
cominciò la resistenza coreana all’occupazione giapponese nella Seconda Guerra
Mondiale, grazie al coraggio delle Haenyeo: donne sub che, sin dai tempi
paleolitici, cacciano in apnea con una tecnica trasmessa di generazione in
generazione e custodiscono i segreti di un peculiare sciamanesimo tutto al
femminile; qui, infine, si consumò fra l’aprile del 1948 e il maggio del 1949
una delle più efferate stragi d’innocenti, la cui unica colpa fu quella di
volersi opporre alle elezioni che avrebbero sancito la divisione della Corea
per mano americana. Furono assassinati dall’esercito sudcoreano in 20mila,
forse addirittura in 30mila; altri 40mila furono costretti a fuggire in
Giappone, accusati di essere pericolosi comunisti in combutta col governo
filosovietico del nord. L’evento segnò, e segna tuttora indelebilmente, la
coscienza unitaria coreana, avendo fatto precipitare la situazione politica
della penisola sino alla terribile guerra del 1950-53: un conflitto irrisolto
che vide sganciare 177mila tonnellate di bombe americane sull’intero territorio
coreano, più di tutte quelle lanciate nel secondo conflitto mondiale. Già all’epoca
il Generale Douglas MacArthur avrebbe voluto utilizzare la bomba atomica per
mettere definitivamente a tacere la minaccia comunista, ma la sua condotta
oltranzista finì per costargli il comando delle truppe dell’Onu.
Fortunatamente. L’armistizio firmato poi dai belligeranti ribadì la divisione d’influenza
scaturita dagli accordi fra Mosca e Washington nel 1945.
Oggi sembra proprio che gli Stati Uniti vogliano riaprire i giochi,
ricorrendo agli stessi terribili mezzi: sull’isola di Jeju è stata inaugurata
il 26 febbraio 2016 una base civile-militare fortemente sponsorizzata dagli Usa
(nonostante la campagna d’opposizione “Save Jeju NowOutlet Donna Brugnato Sandali Donna Timberland Sandali Sandali Timberland Timberland Outlet Outlet Donna Brugnato E29DHWYeI”), dalla quale possono essere sferrati attacchi nucleari sia verso la
Corea del Nord, sia in direzione della Cina e della Russia, i due veri
obiettivi della crisi coreana. Sul territorio conteso della Penisola è infatti
in corso da anni un confronto economico che ha visto gradualmente gli americani
scivolare all’angolo, non solo per la dinamicità del mercato cinese, ma proprio
per l’intraprendenza dell’ormai quasi “ex alleato” sudcoreano: un paese-sistema
capace di competere da solo nel mondo, grazie alla politica vincente degli “chaebol”,
i conglomerati industriali oggi rappresentati in prima linea da Samsung,
Hyundai, LG o Daewoo. Con le loro politiche filostatali e protezionistiche - ha
illustrato molto chiaramente il ricercatore Andrea Goldstein nel saggio “Il
Miracolo Coreano” - sono riusciti a risollevare il Paese dalle periodiche crisi
di mercato, senza mai ricorrere alle formule neoliberiste suggerite da
Washington o dal Fondo Monetario Internazionale. La Corea del Sud è però un
boccone troppo succulento e imprevedibile, in particolare se dovesse portare a
termine il percorso di unificazione con la Corea del Nord. Collaborazione
politica ed economica che, sino ai primi anni duemila, stava dando segnali
incoraggianti. Proprio allora gli Stati Uniti di Bush Junior, spalleggiati
dalla seconda storica potenza con mire egemoniche sull’area, il Giappone, hanno
optato per la scelta con cui in passato hanno dettato legge: il riarmo, il
rafforzamento dei presidi militari contro “l’asse del male”, chiudendo gli
occhi di fronte ai 2 milioni e mezzo di vittime della guerra di Corea e alle atrocità
che ne fecero il banco di prova per il Vietnam. La storia della Corea può però insegnare
al mondo che, oltre il mercato, c’è ben più in gioco. Molto di più:
addirittura, forse, la risposta alle origini della civiltà sulla terra. Per
ora, comunque, la Regione Lombardia si è accontentata di un risultato già soddisfacente:
un accordo di collaborazione culturale ed economica con la città di Seoul,
firmato a Milano lo scorso settembre.